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I DIRITTI FONDAMENTALI NON SONO OPINABILI

E’ notizia di questi giorni che nel corso dell’inaugurazione dell’anno giudiziario presso la sezione staccata del Tar Lombardia, i diritti fondamentali e i discorsi e i moniti sul loro necessario rispetto, fatti dai presidenti di tutte le supreme Corti in occasione di cerimonie pubbliche, siano stati qualificati, da un magistrato nostro collega, in termini di “penosa litania”, con distinzione e commento delle posizioni assunte dai governi della Repubblica, su questo tema, a seconda del loro grado di pavidità.Se quest’ultimo giudizio può considerarsi inopportuno, laddove si avventura in un territorio quanto mai soggettivo e comunque estraneo al perimetro proprio di un’inaugurazione, la prima affermazione, oltre ad essere inopportuna è grave e giuridicamente sbagliata e bene ha fatto il Presidente del Consiglio di Stato a coglierne e ad evidenziarne immediatamente la rilevanza.Un punto deve essere molto chiaro. Non si trattava di discutere o di confrontare opinioni o tesi, come usualmente avviene quando si partecipa ad un convegno o si scrive un articolo di dottrina, ma di rendicontare lo stato e le prospettive della giustizia amministrativa in sede locale, davanti alle altre autorità, e soprattutto, ai cittadini e agli stranieri in possesso di valido titolo per soggiornare sul territorio italiano che a quella giustizia chiedono di accedere.La tutela dei diritti, segnatamente di quelli fondamentali, è parte integrante della Costituzione repubblicana, di cui occupa la prima parte, a cominciare dall’art. 2 e dalla concezione personalista e pluralista che esprime, e a giudizio della maggior parte degli studiosi non sarebbe modificabile neppure attraverso il procedimento di revisione costituzionale disegnato dall’art. 138. Il catalogo dei diritti e delle libertà fondamentali fa parte, infatti, di quel settore non controverso della Costituzione che dovrebbe essere al riparo da qualunque contesa politica, sottratto al volere delle maggioranze del momento, alla forza del loro numero.La tutela dei diritti dell’uomo, a prescindere dalla sua provenienza geografica, è poi riconosciuta, da tempo, da una serie di Trattati e di atti internazionali ai quali l’Italia ha liberamente aderito, nel quadro di istituzioni sovranazionali alle quali dobbiamo anche il lungo periodo di pace di cui noi tutti –a differenza dei nostri nonni -abbiamo beneficiato, dalla fine della seconda guerra mondiale sino ai giorni nostri.Chiarito che la tutela dei diritti non è, népotrà essere mai una “litania”, ma un elemento costitutivo del nostro ordinamento, è persino ovvio ricordare come ogni giudice sia soggetto alla legge e debba, quindi, non solo prestare obbedienza alle leggi della Repubblica, incominciando da quelle fondamentali, assicurandone il rispetto quando ne sia chiesto da cittadini ostranieri, ma anche essere e apparire scevro da pregiudizi che possano in qualche modo incrinare o appannare l’immagine di terzietà del giudice come bouche de la loi.Questa obbedienza deve trovare riscontro prima di tutto nelle sentenze, ma anche nei discorsi e negli interventi pubblici, in particolare se svolti nell’ambito di occasioni così importanti e seguite quali le inaugurazioni dell’anno giudiziario. In tali occasioni il magistrato non dovrebbe mai indugiare in atteggiamenti che, debordando dall’esercizio delle funzioni giurisdizionali, possano generare allarme sociale, o comunque abbandonarsi a dichiarazioni equivoche o fuorvianti, dovendo invece testimoniare, anche a beneficio della generazioni più giovani che non sempre conoscono bene la storia, l’impegno per una giustizia che assicuri, in relazione al nucleo fondamentale dei diritti umani, l’uguaglianza di tutti davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di provenienza geografica, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.